Da diversi anni ho avviato un proficuo interscambio culturale con insegnanti, dirigenti e personalità impegnate nelle politiche sociali giapponesi, con lo scopo di condividere strategie psico-educative rivolte a genitori e bambini nella fascia 0-6 anni, percorsi formativi per docenti di nido e scuola d’infanzia e linee programmatiche e organizzative per strutture socio-educative 0-6.
Scrivo di questo quinto appuntamento, avvenuto lo scorso 6 aprile, perché è stato speciale per una serie di motivi:
Il primo è legato al periodo dell’anno in cui è avvenuto, ovvero nel mese di aprile, che nella vita e nella cultura giapponese è davvero magico. È il mese della fioritura del Ciliegio, Sakura, fiore dal grande valore simbolico, significa, infatti, gentilezza e primavera. Il ciliegio è anche il simbolo del Giappone e la sua fioritura rappresenta uno degli eventi più importanti della primavera. Il ciliegio possiede una bellezza elegante, sobria e rappresenta perfettamente la caducità della vita, con la sua fioritura breve ma intensa, riassume perfettamente la vanità di ogni cosa: gioventù e bellezza, fama e ricchezza. Hanami, la rituale gita fuori porta per assistere alla fioritura, è una delle tradizioni più sentite dai giapponesi. Dal punto di vista simbolico, dunque, il mese di aprile acquista valore di rinascita, un bell’auspicio per l’educazione, non a caso la scuola in Giappone ha inizio in questo mese.
Il secondo motivo è rappresentato dal fatto che questa volta, la richiesta è pervenuta da parte di quattro donne, tutte membri delle Prefetture giapponesi.
Il Giappone è suddiviso in 47 Prefetture, ovvero unità amministrative. Il ruolo dei membri delle prefetture, è prevalentemente di tipo politico e si caratterizza dall’offrire alla popolazione residente, informazioni, formazione e orientamento su vari aspetti: economico, lavorativo, occupazionale, imprenditoriale, benessere, istruzione, salute e territorio. Tomoki Yamada (nella foto) per esempio è al suo terzo mandato del Consiglio di Assemblea della Prefettura di Nagasaki (una regione che ha 1,5 milioni di abitanti), è una donna molto impegnata a livello politico, è presidente del Comitato Speciale per il declino della popolazione e misure per l’occupazione economica. È fortemente coinvolta nella promozione del benessere e dell’educazione dei bambini.
Il suo impegno verso l’infanzia e il mondo educativo è centrale nella sua azione politica, i suoi slogan sono: investire nell’educazione dei bambini; proteggere la crescita e l’apprendimento di coloro che rappresentano il futuro di Nagasaki; incoraggiare lo studio, l’autosufficienza di persone con disabilità “nel corpo o nel cuore” (in Giappone fortemente stigmatizzate); investire nella creazione di ambienti in cui i bambini possano nascere e crescere con la massima tranquillità; sostenere i progetti e le società di supporto genitoriale; accrescere il sistema di formazione e trattamento degli insegnanti di scuola materna; promuovere l’educazione della prima infanzia; aumentare il numero di strutture di asilo nido; migliorare il trattamento delle educatrici e l’ambiente educativo; promuovere la scuola privata per coltivare personalità ricche; implementare le condizioni e le capacità di crescita dei figli. Anche le altre tre personalità presenti all’incontro, Inoue Kiyoko, Keiko Hakuishi, Yamada Tomoko, hanno ruoli analoghi nelle prefetture di Shimane e Miyazaki.
Ciò che rende ogni volta speciale questi incontri va rintracciato nella ricchezza dello scambio tra due culture e stili di vita così lontani e al tempo stesso così complementari.
Lo stile di vita e la cultura giapponese, verso i quali nutro curiosità e ammirazione, mi hanno sempre ispirato ed avere l’occasione di confrontare il mio lavoro, i miei studi e le mie ricerche con donne cosi impegnate e motivate a migliorare la qualità della vita di bambini e genitori mi rende felice e grata per questa opportunità e soprattutto disponibile a condividere conoscenze e strategie d’intervento, convinta che il dialogo e il confronto siano l’unica strada per crescere nella vita come nel lavoro ed investire nel futuro.
I giapponesi godono di un alto standard di vita, quasi il 90% della popolazione si considera parte della classe media, tuttavia molti studi indicano un basso livello di felicità e di soddisfazione, rispetto alla maggior parte del mondo altamente sviluppato. I giapponesi sono insoddisfatti della loro vita, il tasso di suicidi è il più alto al mondo (16,7 ogni 100 000 abitanti nel 2017). Questo stato di malessere nella popolazione è stato analizzato da un noto psicoanalista giapponese Takeo Doi (1920– 2009) nel suo libro Anatomia della dipendenza, dove cerca di spiegarne le ragioni, imputandolo al concetto di amae. Amae è un sostantivo usato come parola-chiave per spiegare il comportamento di una persona che cerca d’indurre un genitore, un coniuge, un insegnante o un superiore, a prendersi cura di lei. Il comportamento dei bambini verso i genitori è l’esempio più comune di amae. Nel mondo occidentale, le pratiche educative, cercano di interrompere questo tipo di dipendenza nei bambini, mentre in Giappone questa dipendenza continua fino all’età adulta. In Giappone, infatti, il rapporto tra madre e bambino implica che costituiscano un tutt’uno. L’amae è quel sentimento che il bambino prova quando comincia a differenziare sé stesso dal corpo della madre, ma allo stesso tempo sente la sua vicinanza come indispensabile per la sua sopravvivenza.
Questa premessa spiega la natura e la misura del nostro confronto, durante il quale abbiamo dapprima discusso delle diverse culture pedagogiche a confronto: italiana e giapponese, per poi rappresentare scenari psico-pedagogici e prassi educative che possano fare da ponte a due modi così diversi di allevare bambini, con qualche affinità e molte contraddizioni.
L’educazione giapponese è permissiva e indulgente, il comportamento materno è di completa dedizione ed iperprotettivo; il bambino, crescendo, assorbe la consapevolezza della bontà della madre, del suo sacrificio, maturando un sentimento di obbligo nei suoi confronti, che successivamente verrà trasferito in ogni relazione sociale. Anche l’educazione italiana è empatica e responsiva rispetto ai bisogni dei figli, ma appare più equilibrata e adatta ad accompagnare il bambino verso una graduale autonomia, rafforzandone la fiducia e la sicurezza. Mentre il “saper fare” in Giappone è molto incentivato, fin dalla primia infanzia; negli asili i bambini si occupano di ripulire gli spazi dopo le attività, nelle mense scolastiche servono i pasti e lavano i piatti, e dunque, molto efficace per promuovere comportamenti responsabili e pro-sociali. Nella nostra Italia, pur essendo la patria di Maria Montessori, antesignana di questa pratica, è ancora molto difficile l’implementazione di un tale modello pedagogico, così focalizzato sulla responsabilità individuale e l’attenzione al prossimo.
Questo confronto ci ha condotto a convergere su un nuovo mandato che devono assumere le strutture socio-educative (asili nido, scuole dell’infanzia, istituti scolastici) ovvero quello di accompagnare bambini e genitori verso una crescita comune, con lo sguardo strettamente rivolto ai veloci cambiamenti della società in cui essi sono inseriti.
Parte del nostro tempo è stato dedicato ai bisogni di bambini con disarmonie o difficoltà dello sviluppo, in forte crescita anche in Giappone, dove peraltro vige una politica sanitaria fortemente orientata al trattamento obbligatorio, con prescrizioni prevalentemente di tipo farmacologico, con conseguente etichettamento e stigmatizzazione.
L’auspicio che abbiamo condiviso è stato quello di far confluire il nostro lavoro verso un’attenzione crescente per lo sviluppo socio-emotivo dell’individuo, che resta a livello globale, l’unica vera rivoluzione, in un mondo in vorticoso cambiamento, nel quale educazione e istruzione non possono che convergere la propria azione nella costruzione di competenze e abilità socio-emotive piuttosto che investire prevalentemente nello sviluppo di conoscenze e abilità cognitive della Persona.
Perla Boccaccini
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